martedì 15 febbraio 2011

Italiani all'estero

Nel giorno della mobilitazione nazionale a difesa della dignità (delle donne e dell'Italia), leggo sul Corriere della Sera l'intervento della corrispondente da New York, Alessandra Farkas. La quale si dice tentata, nell'anno di ricorrenza dei 150. anni dell'Unità nazionale, di rinunciare alla cittadinanza italiana: il motivo, immaginabile, è la difficoltà a riconoscersi nel Paese che aveva accolto la sua famiglia scampata all'Olocausto e che insieme all'ospitalità le aveva dato un futuro. Un Paese, scrive, disonorato dalla sua stessa classe politica, incapace di dimostrarsi serio e affidabile, incompreso (e incomprensibile) nella sua assurdità, e per questo considerato irredimibile.
Il sentimento non è solo della giornalista. Ma, ed è lei stessa a riconoscerlo, di tanti italiani sparsi negli States e nel mondo che guardano con crescente insofferenza e distacco gli scandali di un'Italia lontana, sempre più lontana, sempre meno sentita come propria origine, tanto meno come meta di ritorno.

E' così. Chi vive all'estero, ormai da anni, deve fronteggiare la curiosità, l'incredulità, lo scetticismo, talvolta l'ironia e la supponenza. Sempre deve convivere con un senso di disagio, accresciuto spesso dal trovarsi quotidianamente a vivere in realtà che confina ai sogni peggiori, o alle più trash delle commedie, i fatti diventati routine a casa nostra.

Eppure: sarebbe una soluzione  rinunciare alla cittadinanza come segno di protesta? a cosa porterebbe? certo, forse in coscienza la dissociazione arrecherebbe un senso di alleggerimento, e pubblicamente potrebbe essere proposto e riconosciuto come segno di distinzione. Ma nell'economia del tutto sarebbe un gesto simbolico sì, ma pressoché inutile. Anzi, non sarebbe piuttosto una forma di esilio volontario, e quindi, come ogni esilio, una limitazione, una perdita, una sconfitta?
Chi fugge o si nasconde, è sempre destinato a perdere. Chi rifiuta il dialogo e talvolta lo scontro è un perdente già in partenza. Solo chi rimane e insiste, ha speranza di vincere, per quanto lungo possa essere il confronto. Insistiamo dunque nel chiedere una politica decente e decorosa, nel rivendicare una giustizia sociale efficace, nel pretendere una patria credibile. E facciamolo da italiani: con i gesti concreti e quotidiani con i quali viviamo le nostre vite all'estero, con la nostra vitalità e brillantezza, con la capacità di lavoro e la nostra umanità. Facciamo sì che la nostra italianità sia un valore aggiunto anche all'estero. Facciamo in modo di mostrare che gli italiani sono più affidabili e coerenti di chi li rappresenta e che l'Italia può essere meglio della sua politica.

Costanza Alpina

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