Una buona fetta d'Italia ha votato, e anche questa volta il voto si presta a mille analisi e riflessioni. Personalmente il commento più amaro l'ha rilasciato Fabrizio Cicchitto, capogruppo PdL alla Camera:
La vittoria di Torino è clamorosa. Politicamente parlando "uno stupro". La caduta della città dell'intellighenzia azionista e comunista segna definitivamente il cambio dell'egemonia culturale del Paese.
La regione di Gramsci, Gobetti e Bobbio è andata a un leghista. Certo, non che la Bresso potesse rivaleggiare con certi antenati conterranei, ma è certamente significativa l'ascesa in quella terra sobria e operosa dell'uomo del popolo, le cui prime parole da governatore sono contro gli immigrati che portano via il lavoro "alla nostra gente".
Può poi succedere, e ce lo auguriamo di cuore, che i leghisti governino meglio di quanto parlino. E allora alla fine ciò che fa più male tornano ad essere le parole di quel Cicchitto, quel tono di sprezzo e distanza da una tradizione di pensiero e di ideali che gli uomini della nuova "egemonia culturale" sentono avversaria, ostile, diversa. Forti della loro arroganza non si sognano di rendere umile tributo, pur nella differenza, a italiani di pensiero e coraggio che sono studiati e ammirati nel mondo per l'acutezza delle loro idee e il rigore del loro agire. No, meglio additarli come poveri comunisti a cui contrapporre la nuova cultura del fare e dell'apparire. Forse Cicchitto e gli altri non sanno che quell'espressione di cui vanno così fieri e che da anni ripetono senza attuare, la nuova "rivoluzione liberale", viene proprio da quel Gobetti torinese a cui contrappongono ora il nuovo Cota. E anche se lo sanno, cosa mai se ne fanno. Il nuovo mondo non ha bisogno di cultura né di ricordo. Basta il telecomando.
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