Certo che ci saremo.
Con l'animo, la testa, l'intento, le buone intenzioni. Certo che ci saremo alla giornata di mobilitazione delle donne indetta per domenica 13 febbraio 2011.
Come non potremmo?
Siamo state tra le prime a individuare il problema, a denunciarlo, a dire che non erano casi singoli ma un vero e proprio sistema di potere. Abbiamo profetizzato ciò che i mormorii delle intercettazioni lasciano ora trapelare: che cioè il caso di una soubrette diventata Ministro in un battibaleno avrebbe fatto scuola e sarebbe stato preso da esempio. Abbiamo patito pubblicamente per la dignità ferita delle donne, per quelle "vittorie di Pirro" annunciate tra lo scintillio di riprese televisive e sorrisi (talvolta rifatti) da copertina. Avevamo sollevato il problema del merito e della corrispondenza tra donna e corpo, tra femminilità e potere. Avevamo, avevamo...
Poi sono venuti gli scoop sul "velinismo", le euro-candidature, il "ciarpame" dell'imperatore e gli harem del "sultano", poi ancora Noemi e le farfalline pendenti, le feste in Sardegna e quelle di Arcore, i condomini di Milano e le candidature regionali, e infine, come una ciliegina sulla torta, il caso di Ruby (e le altre).
E ora è venuto quindi il momento di indignarsi, di mostrare pubblicamente la propria indignazione, di invitare tutte a indignarsi.
Così si scrive, così si dice. Ed è giusto sia così. La libertà d'opinione è stata guadagnata anche e soprattutto per far valere istanze collettive legittime e diffusamente sentite contro l'arroganza dei numeri, contro l'apparato del potere, contro, anche, la prepotenza, o la stupidità, degli uomini.
E quindi avanti donne, alla riscossa. Ma di che cosa? cosa abbiamo da conquistare se non saranno gli uomini i primi a comprendere il senso della nostra protesta, del nostro orgoglio? cosa abbiamo da ri-conquistare se gli uomini continueranno a vedere in noi dei corpi, o sennò a guardarci come aliene inacidite se non corrisponderemo facilmente alle loro pulsioni? cosa abbiamo da vantare se non saranno anche gli uomini a pretendere la dignità delle donne?
Ha ragione Maria Nadotti a esprimere perplessità (anzi, dissenso) di fronte all'appello alla mobilitazione. C'è il rischio che si generi una moralistica contrapposizione tra donne per bene e donne per male, donne vere e "quelle altre", tra angeli del focolare e ragazze a ore, tra anime e corpi.
Non è di un nuovo moralismo che abbiamo bisogno: soprattutto perché il moralismo è sterile riguardo alle nuove generazioni, che sono quelle più ribelli ma anche più vulnerabili, quindi più bisognose di poche, buone regole e tanti, ottimi esempi.
Per questo è giusto rendersi visibili, far sentire la propria voglia di una buona, decente politica, il desiderio di una nuova aria etica, la propria insofferenza per le grandi immagini di piccole donne che vengono diffuse dai media e prodotte o incentivate dai potenti.
Ma facciamo in modo, domenica e i giorni seguenti, di non essere sole, facciamo in modo che non sia una partita giocata in casa, tra di noi. Facciamo in modo che gli uomini non si sentano tenuti fuori, e quindi che alla fine sia per loro più facile dire: "eccole, le zitelle invidiose", piuttosto che seguire il nostro passo dicendo "caspita, guarda che donne!".
Costanza Alpina
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